Voto di scambio: Il punto di apparente non ritorno, costituito dai divergenti orientamenti manifestati dalle sezioni prima e terza della Suprema Corte in ordine alla valutazione della stessa fattispecie di reato, riguardante due soggetti imputati nello stesso procedimento.

Senza commenti personali riportiamo quanto tratto da:  http://www.diritto.it/materiali/penale/amendolagine.html – inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2004 – in cui l’Avv. Vito Amendolagine fornisce alcune “Brevi riflessioni a margine delle fattispecie previste dall’art. 96 del d.p.r. 361/1957 e dall’art. 416 ter c.p. a seguito di due contrastanti pronunce della suprema corte (30.01.2004, n. 165 e10.02.2004, n.1843).

“I contrastanti riferimenti giurisprudenziali della Corte di legittimità di cui in epigrafe, consentono di mettere a nudo alcune difficoltà interpretative, attualmente presenti in ordine alla corretta ed univoca applicazione degli artt. 96 e 98 del D.P.R. 30.03.1957 n.361 con riferimento agli artt. 416 ter c.p. e 416 bis c.p..

Prima di entrare nel merito della trattazione, appare d’obbligo precisare che le diverse sezioni della Suprema Corte, hanno esaminato identici capi d’imputazione mossi nei confronti di due soggetti entrambi imputati concorrenti nel medesimo processo pendente dinanzi al giudice a quo (Tribunale di Bari) inerente la stessa fattispecie.

Il dato iniziale dal quale dipartono le divergenti valutazioni dei giudici di legittimità è la qualificazione della fattispecie criminosa contestata agli imputati, rubricata ex art. 96, D.P.R. 361/1957, partendo da una visuale comune del Tribunale barese, incentrata essenzialmente sulla valutazione dei riscontri probatori acquisiti agli atti del procedimento, come può evincersi leggendo il passo della decisione 165/2004: la sola qualità di mafioso del promittente non vale a comprovare né la collusione fra candidato ed organizzazione criminale, né l’uso della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assogettamento ed omertà che ne deriva per orientare il voto. Non emergendo in alcun modo che le organizzazioni malavitose cui il S. – per il tramite del M. – si era rivolto avessero spiegato la loro capacità di intimidazione per garantire un positivo esito della consultazione elettorale, peraltro non verificatosi, la condotta dell’indagato ricadeva sotto la generale previsione dell’art. 96 D.P.R. n.361/1957.

Il punto di apparente non ritorno, è invece costituito dai divergenti orientamenti manifestati dalle sezioni prima e terza della Suprema Corte in ordine alla valutazione della stessa fattispecie di reato, riguardante due soggetti imputati nello stesso procedimento.

Infatti, mentre nella pronuncia del 3 dicembre 2003 n. 1843/2004 (depositata il 10.02.2004) la Corte motiva la statuizione di inammissibilità dell’impugnazione del P.M. (dichiarandola manifestamente infondata) avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame affermando: Avuto riguardo agli elementi richiesti per la sussistenza dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416 ter c.p. la decisione del Tribunale non merita censura anche se non ha esplicitato le ragioni per le quali nei fatti addebitati al S. è da individuare il meno grave reato di cui all’art. 96 D.P.R. 361/57 ove si consideri che nella specie non sussiste elemento alcuno dal quale desumere che l’accordo intercorso con i soggetti ritenuti appartenenti ad organizzazioni camorristico-mafiose prevedeva l’uso dell’intimidazione o di altri metodi mafiosi al fine di far ottenere voti a favore del S. né al riguardo il P.M. ricorrente ha fornito indicazioni di sorta nella pronuncia del 14.01.2004 – depositata il 30.01.2004 n.165/2004 –  la terza sezione della Corte accoglie il ricorso del P.M. rilevando che il Tribunale barese avrebbe dovuto poi stabilire se – indipendentemente dalla diretta esplicazione di violenza fisica o morale – il loro interessamento in favore del candidato fosse presentato e percepito dagli elettori come proveniente dal clan e sorretto dal potrere di fatto da questo esercitato nella zona individuando nella stessa ordinanza impugnata gli elementi ritenuti gravemente indiziari, e, conseguentemente, ritenendo ingiustificata l’affermazione che non vi è alcun elemento indicativo dell’impiego della capacità intimidatrice dei gruppi criminali in favore del candidato, e il tessuto motivazionale si rivela altresì contraddittorio nel momento in cui – fatta tale premessa – sostiene poi che l’indagato si era rivolto ad organizazzioni malavitose e aveva inteso sfruttarne l’operatività è l’in sé della forza intimidatrice dell’organizzazione.

Orbene, premesso che nella decisione depositata il 10.02.2004 l’unico rilievo che sembrerebbe evincersi con riferimento all’operato dei giudici del riesame sembrerebbe fondarsi sulla motivazione delle esigenze cautelari (cfr. testualmente: Piuttosto è da rilevare che l’ordinanza impugnata risulta carente di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari) sembrerebbe evincersi altresì che per la terza sezione (a differenza della prima) non risulterebbe neppure provata la sussistenza dei presupposti per ritenere configurabile l’ipotesi criminosa tipizzata dall’art. 96, del D.P.R.361/1957.

Esaminando quanto affermato dalla Suprema Corte su tale punto specifico: (Il Tribunale) ha affermato che ricorre il pericolo che il S. possa reiterare la sua condotta criminosa avuto riguardo alla gravità dei fatti allo stesso addebitati ed alla personalità dell’indagato, ma non ha indicato gli specifici elementi che in concreto consentono di ipotizzare che lo stesso possa ulteriormente violare la norma di cui all’art. 96 D.P.R. 361/57, considerato peraltro che il reato da essa previsto può essere commesso soltanto in occasione di consultazioni elettorali appare chiaro che, mentre a giudizio della prima sezione, il Giudice di merito dovrebbe rivedere la qualificazione giuridica assegnata alla fattispecie di cui trattasi, nel senso quantomeno di  valutare la configurazione dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416 ter c.p., per la terza sezione, non esisterebbe alcuna prova circa il fondamento delle esigenze cautelari riferite alla fattispecie rubricata ex art. 96, del D.P.R. 361/1957.

Insomma, ad identiche risultanze processuali nella ipotizzabiliotà dei reati configurabili sorge stridente contrasto tra le due pronuncie che non può che risolversi in una diversa interpretazione della fattispecie criminosa.

Quid juris allora per il povero operatore del diritto?

A ben vedere, l’orientamento profuso nella sentenza del 10.02.2004 richiamando espressamente un precedente orientamento della Corte su un’analoga questione (cfr. Cass. Pen. Sez. I, 25.03.2003, n.27777, pubblicata su D&G 2003, f.31, 32, con nota di Laudati) appare improntato a ritenere che ai fini dell’ammissibilità del delitto di cui all’art. 416 ter c.p., l’impianto accusatorio non può basarsi unicamente sulla semplice dazione di denaro intercorrente tra il candidato e l’esponente mafioso, finalizzata all’aiuto nella competizione elettorale, esigendo altresì che il malavitoso quale esponente di spicco del clan, al fine di conseguire il risultato promesso, debba comunque ricorrere agli strumenti riconducibili all’intimidazione ed alla prevaricazione mafiosa.

Pertanto, il mero versamento di una somma di denaro da parte del candidato politico ad un esponente mafioso allo scopo di ottenerne l’appoggio elettorale, senza alcuna promessa di coinvolgimento dell’intera organizzazione nel raggiungimento dello scopo, non sarebbe un elemento di per sé idoneo ad integrare un grave indizio di colpevolezza in ordine al reato contemplato dall’art. 416 ter c.p. difettando qualsiasi collegamento collaborazionistico di reciproca utilità, vertendosi di contro, nella fattispecie di cui all’art. 96 D.P.R.361/1957, beninteso, ove riscontrati in concreto i necessari presupposti applicativi.

Ma vi è di più, ove si consideri che la fattispecie di cui all’art. 416-ter, c.p. (introdotto dall’art.11-ter della L. 7.08.1992, n.356 di conversione del D.L. 8.6.1992, n.306) è ben diversa rispetto alle ipotesi contemplate dagli artt. 96 (corruzione elettorale) e 97 (coercizione elettorale) del D.P.R. 30 marzo 1957 n.361, in relazione al 3° comma dell’art. 416-bis c.p. introdotto dall’art. 11-bis, ed all’art. 11-quater della l. cit. 356/92, con riferimento sia ai soggetti sia all’interesse protetto, preso in considerazione dalle predette norme, unitamente alla stessa condotta materiale.

Quindi, premesso che la fattispecie dell’art. 416-ter c.p. deve rimanere confinata su un piano distinto ed autonomo rispetto a quella disciplinata dal 3° comma dell’art. 416-bis c.p. secondo l’insegnamento della Suprema Corte (cfr. Cass. Pen. Sez.V, 16 marzo 2000, n.4893, reperibile in Dvd Juris Data) vanno esaminati compiutamente i caratteri peculiari presi in esame dalla norma, con riferimento ai soggetti ed alla condotta materiale di quest’ultimi, dovendosi concludere che, trattandosi di una fattispecie basata su un rapporto negoziale, la stessa sembra riferirsi al soggetto che ottenga la promessa di voti, dietro il corrispettivo rappresentato dall’erogazione di denaro nei confronti dell’associazione criminale.

In buona sostanza, al fine di poter chiamare in causa la norma di cui all’art. 416-ter c.p. occorre pur sempre la prova della promessa d’impregno riferita non ad un singolo soggetto, ma all’intera organizzazione.

Pertanto, come affermato dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Palermo, 4 aprile 1998, in Foro It., 1999, II, pp.44) la mera accettazione dei voti procacciati dal sodalizio criminale, o la richiesta di sostegno alle elezioni proveniente da un noto esponente della famiglia mafiosa non costituiscono elementi idonei ad integrare l’ipotesi del concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti del candidato alle elezioni, in difetto dell’esistenza di un vero e proprio pactum sceleris, attestante l’intesa per la quale, il politico in cambio dell’appoggio s’impegna ad elezioni vinte a sostenere l’associazione, nell’ottica protesa al rafforzamento e/o consolidamento del mantenimento in vita di quest’ultima.

Del resto, anche la decisione del 30.01.2004 sembrerebbe partire dallo stesso concetto innanzi espresso, salvo poi giungere ad un’opposta visione, sulla base di affermazioni di principio che non sembrano trovare riscontro nei precedenti applicativi della stessa Corte, nella materia considerata.

A tale punto, esaminato il campo delle questioni giuridiche trattate, interviene la decisione della prima sezione in commento, che introdurrebbe un ulteriore argomento interpretativo identificando la possibilità di riconduzione alla fattispecie del 416 ter, di una semplice contemplatio mafiosa !

Si dice, in concreto che – anche in mancanza di una qualsivoglia esplicazione positiva del potere  mafioso,  il semplice apparire da parte del candidato come gradito da un qualsiavoglia partecipante ad una organizazzione mafiosa – più o meno estesa –  procurerebbe al candidato apparentenente appaggiato dall’esponente mafioso un metus tale da provocare un consenso indiretto da parte del cittadino votante, inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 416 ter c.p.

Si ritornerebbe quindi alle dilatazioni interpretative di connivenza presunta, che ancor più risulterebbero rigorose ai danni di un candidato che – indipendentemente da una espressa e consapevole richiesta di ausilio con utilizzazione del sistema criminale specificamente mafioso – risulterebbe solo   accettato  ad uno o più esponenti di organizzazioni criminali.

Quindi i candidati dovrebbero prestare massima attenzione a non trovare tra i propri sponsor soggetti che abbiano a che fare con personaggi implicati  comunque con la criminalità organizzata.

Forse, giunti a questo punto, sarebbe allora opportuno un’intervento chiarificatore da parte dello stesso legislatore (magari sollecitato da una pronuncia delle sezioni unite), per definire con maggiore evidenza e nettezza il discrimen attualmente esistente tra le diverse figure illecite prese in considerazione.”

Fonte: http://www.diritto.it/materiali/penale/amendolagine.html – inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2004 – dell’Avv. Vito Amendolagine.

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